Valzer con Bashir

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Una notte, in un bar, un amico confessa al regista israeliano Ari Folman un suo incubo ricorrente: sogna di essere inseguito da ventisei cani inferociti. Ha la certezza del numero perché, quando l'esercito israeliano occupava una parte del Libano, a lui, evidentemente ritroso nell'uccidere gli esseri umani, era stato assegnato il compito di uccidere i cani che di notte segnalavano abbaiando l'arrivo dei soldati. I cani eliminati erano giustappunto ventisei. In quel momento Folman si accorge di avere rimosso praticamente tutto quanto accaduto durante quei mesi che condussero al massacro portato a termine dalle Falangi cristiano cristiano-maronite nei campi di Sabra e Chatila. Decide allora di intervistare dei compagni d'armi dell'epoca per cercare di ricostruire una memoria che ognuno di essi conserva solo in parte cercando di farla divenire patrimonio condiviso.

 

Nel luglio del 1982, a Beirut, in Libano, i soldati falangisti libanesi irruppero nei campi-profughi palestinesi di Sabra e Chatila uccidendone tutti gli abitanti, compresi donne e bambini, grazie alla complicità dell’esercito israeliano che aveva invaso il paese mediorientale. Questa strage costituisce il rimosso del protagonista e anche della generazione che partecipò a quei fatti, come più in generale dell’intera società israeliana che con questo buco nero della sua storia recente non ha mai fatto veramente i conti (il presunto responsabile della strage, Sharon, è stato sino a pochi anni fa presidente del consiglio dello Stato di Israele). La fatica a ricostruire la sequenza di eventi che si è conclusa con l’orrore del massacro occupa  il centro del film, nel corso del quale si assiste ad una specie di seduta psicoanalitica collettiva, da cui emerge la difficoltà e la ritrosia a confrontarsi con un trauma duraturo che ha segnato nel profondo le coscienze. Le autentiche immagini fotografiche della strage che scorrono a chiusura impongono una fuoriuscita dall’animazione e immettono bruscamente nella sconvolgente dimensione reale di ciò che è accaduto. La ricerca del tempo perduto, dolorosa e sofferta, si è forse conclusa con il ritrovamento della piena consapevolezza dell’orrore.

A proposito di questo film si è parlato di docanimation. Per la prima volta, infatti, l’animazione (solitamente abbinata al libero fluire della fantasia e indirizzata ad un pubblico infantile) è posta al servizio di un’inchiesta paragiornalistica, se non di quello che una volta si chiamava cinema civile di denuncia, finalizzata alla rievocazione di un drammatico evento del passato prossimo. E come per ogni indagine filmata che si rispetti il regista fa ricorso alle interviste, che sono la fedele ricostruzione filmata delle testimonianze raccolte tra i reduci e i protagonisti dell’epoca.

Valzer con Bashir è, però, anche l’evocazione autobiografica di ciò che lo stesso regista ha vissuto tanti anni prima. La realtà documentaristica si intreccia così con il personalissimo travaglio interiore da lui vissuto e l’animazione sfrutta le ampie possibilità insite nella natura di questo linguaggio per accedere al registro della visionarietà  e dell’incubo, che meglio della verosimiglianza realista traduce in immagini i fantasmi che popolano la coscienza non pacificata del protagonista e dei suoi commilitoni. Nascono da questa creatività immaginifica le sequenze più memorabili, come l’iniziale corsa dei cani, il vorticoso balletto di Bashir nelle strade di Beirut, l’apparizione della bellissima donna gigante sul cui grembo ci si abbandona all’oblio e, più in generale, una scelta cromatica orientata verso le tonalità scure, ad alimentare la cupezza di un’atmosfera funesta e macabra.

Approfondimento storico